Centro storico, comunità e città vetrina

Piazza e scalinata del Duomo di spoleto

All’interno delle culture occidentali la città è stata sempre immaginata come spazio dell’integrazione sociale e culturale, come luogo nel quale gli uomini potessero trarre vantaggio dall’aggregazione, strutturando lo spazio in base alle relazioni instaurate tra gruppi, individui e ambiente naturale. Quest’ articolo intende interrogarsi sulla forma e la centralità urbana della città contemporanea, alla luce delle considerevoli trasformazioni, cui essa è attualmente sottoposta.

La forma che una città assume nel tempo riguarda la complessa relazione che si stabilisce tra le sue componenti fisiche e le sue componenti sociali, ovvero tra gli edifici, le strade, le piazze, gli spazi pubblici e il complesso della società urbana, con i suoi aspetti demografici, economici, politici e culturali. L’urbano nasce quindi dal rapporto che s’ instaura tra il contesto sociale e lo spazio costruito, attraverso la stratificazione storica di identità e senso di appartenenza.
Nella lingua latina con la parola urbs si indica la città costruita, mentre con la parola civitas si fa riferimento alla società che la abita e la anima quotidianamente. Tra queste due entità intercorre una duplice relazione. Da un lato la città può essere considerata il prodotto della società, laddove le caratteristiche sociali di una certa comunità si iscrivono nella struttura fisica, nelle forme architettoniche e nei monumenti di un dato periodo storico. Pensiamo all’impianto della città romana, alle strade perpendicolari, agli anfiteatri e ai fori come espressione della cultura dell’impero romano. Al tempo stesso la città costituisce anche il contesto nel quale si sviluppa una società. La strutturazione e collocazione del suo ambiente fisico permettono un certo tipo di relazioni sociali, economiche e politiche, favorendone alcune a scapito di altre. E’ questo il caso della tradizione commerciale di alcuni luoghi, dovuta alla loro collocazione geografica di crocevia tra vie di comunicazione, o dei privilegi sociali goduti dai residenti di un quartiere d’èlite, rafforzati dall’esclusività della struttura spaziale locale.

La città non può quindi essere definita come il mero contenitore della vita sociale, piuttosto è la sua configurazione ad influire sui fenomeni sociali che in essa si manifestano. Guardare quindi alla forma urbana significa considerare queste due entità che si determinano reciprocamente, e mettere in luce le trasformazioni che avvengono al suo interno.

Piazza di Lucca: il mercato si teneva in questa spazio di forma ellittica chiusa, che testimonia la destinazione d’uso ad anfiteatro in età romana

In Europa le città hanno una storia millenaria e le loro antiche forme lasciano delle tracce profonde che resistono con forza diversa al cambiamento. L’evoluzione della forma urbis mantiene elementi di continuità, ma è spesso scandita da una rottura con il passato; la rivoluzione industriale, come l’avvento della grande fabbrica, possono costituire esempi tipici di cambiamenti in grado di stravolgere la struttura e le relazioni cittadine. Volgendo lo sguardo al presente è possibile individuare dinamiche di cambiamento, tutt’ora in atto, che hanno coinvolto lo sviluppo urbano degli ultimi decenni, con particolare riferimento alla città storica.

Il passaggio dall’epoca moderna a quella postmoderna, connotato sotto il profilo culturale dalla preminenza dell’immagine e dell’estetica nella comunicazione, ha sancito un ulteriore punto di rottura delle dinamiche di trasformazione urbana.
In questo periodo storico nel quale la frammentazione identitaria, culturale, sociale e spaziale sembra essere stata assimilata come motore di un cambiamento epocale, le città sono sottoposte ad uno sviluppo che traccia una netta linea di separazione con le precedenti dinamiche di crescita. Se infatti il periodo moderno è stato inizialmente caratterizzato da un complessivo miglioramento funzionale e da una crescita dell’urbanizzato esterna alle mura storiche dalla fine dell’Ottocento, oggi possiamo individuare nella città diffusa il nuovo paradigma di studio della città contemporanea. La globalizzazione ha di fatto comportato una lunga serie di trasformazioni che hanno riguardato sia la vita urbana che la conformazione e funzionalità stessa delle agglomerazioni. Da un lato assistiamo alla diffusione di stili di vita urbani e di una crescita edilizia a macchia di leopardo a livello globale. Dall’altro possiamo notare come i territori stiano scoprendo nuove dinamiche di competizione interurbana, incentrate sulla valorizzazione dei milieu locali, in un contesto nel quale le leggi di mercato si contraddistinguono come mezzo regolatore del successo o meno di un certo territorio.
In questo quadro sinteticamente delineato, in cui il livello locale diviene il motore di sviluppo e di affermazione nel contesto globale, le città sono tendenzialmente sottoposte alla creazione di nuove centralità. Centri commerciali, multisala, poli di sviluppo, aree eventi sono solo alcuni esempi di un quadro di cambiamento che sta mutando le connotazioni stesse della vita cittadina.

scorcio della piazza rinascimentale di Pienza, nata dal progetto di renovatio urbis voluto dal papa Pio II Piccolomini

Questi assunti denotano in maniera calzante il passaggio dalla città moderna, caratterizzata da una centro ed una periferia, alla città postmoderna in cui la diffusione urbana ha portato alla creazione di nuove centralità interconnesse tra loro e di uno “spalmamento” dell’edificato su porzioni sempre più ampie di territorio. In altre parole dal centro alla pluralità di centri distinti funzionalmente.

A fronte di tali trasformazioni viene naturale chiedersi, non solo quale possa essere la dislocazione geografica delle nuove centralità, ma anche cosa resti del vecchio centro in cui si sedimentano storia e cultura. E’ infatti evidente come i centri storici delle maggiori città italiane siano mutati negli ultimi anni, rinnovando le loro funzioni e migliorando la loro fruizione.
La competizione interurbana che si è venuta a creare, accompagnata da un lento e doloroso declino del secondo settore, ha posto la necessità di una valorizzazione turistica dei centri, anche di quelli meno ricchi di patrimonio storico-culturale. In tutto il paese abbiamo assistito a programmi di rigenerazione dei centri storici che hanno portato sia il miglioramento estetico che il cambiamento sociale tra le mura della città antica. Opere di ristrutturazione e di abbellimento dell’arredo urbano, connesse ad una strategia di marketing volta a promuovere le bellezze locali, sono state in grado di accrescere l’attrattività dei luoghi storici in funzione turistica.

Al tempo stesso questa rigenerazione urbana, associata ad un sistema di preferenze e obblighi residenziali, dettati tanto dal mercato immobiliare quanto dalle scelte individuali, ha spesso spinto i vecchi residenti del centro verso l’anonimato della periferia residenziale. I centri storici delle nostre maggiori città hanno quindi perso una considerevole quota di abitanti locali e sono divenuti meta di turisti, city users, universitari e di una nuova classe sociale che Richard Florida ha chiamato la “nuova classe creativa”.

Un gruppo di turisti scende lungo la suggestiva scalinata della famosa città che ospita il Festival dei Due Mondi

Da un punto di vista funzionale ad aumentare è l’attrazione che questi luoghi esercitano nell’immaginario collettivo. Il centro storico si fa bello ed esteticamente più apprezzabile, migliorando la qualità del patrimonio edilizio e dell’offerta di servizi, in un’ottica di valorizzazione della sedimentazione storica sotto il profilo commerciale. Prodotti tipici, artigianato locale, spazi espositivi e offerta culturale catalizzano un’idea nuova di città: la “città vetrina”. Un luogo che inserendosi nelle dinamiche globali cerca di competere sulla base delle sue eccellenze storicamente determinate, attraendo continuamente nuovi visitatori interessati a conoscere tali specificità.

Cosa rimane dunque della civitas nell’antico centro della città contemporanea? A quali dinamiche stiamo andando incontro?

La società attuale ha perso molti punti di riferimento per quanto riguarda il senso di appartenenza e lo sviluppo di identità. Il termine stesso “società postmoderna” suggerisce come non esista ancora un paradigma in grado di sintetizzarla e di tracciare un marcato limite di separazione con il suo passato. Alcuni processi possono comunque essere individuati nello spazio fluido relazionale che la caratterizza, come quelli relativi alla formazione di una comunità. Oggi le comunità tendono a crearsi sulla base di valori condivisi e meccanismi di riconoscimento che tendono sempre più spesso ad allontanarsi dal dato storico. Comunità virtuali, momentanee e simboliche, si formano in una rete che tende a fornire nuovi valori e nuovi stili di vita. L’effimero e l’estetica sono infatti spesso associati al termine postmoderno, indicando con essi quelli che sono i nuovi canoni di costruzione identitaria in una società in cui l’immagine e l’esteriorità hanno assunto un ruolo preponderante. Ci troviamo quindi ad assistere alla nascita di brand in grado di costituire più di un semplice marchio: un vero e proprio sistema di valori che connota chi lo acquista. Basti pensare allo status sociale che si associa a chi veste una determinata marca di vestiti o a chi compra una certa tipologia di auto. In questo contesto la civitas, intesa come comunità che abita la città, tende a perdere i suoi fondamenti in favore di una differenziazione sociale che erode il senso stesso del termine “comunità locale”.

I centri storici restano il luogo dell’urbs, della città costruita, ma la loro connotazione cambia drasticamente poichè la comunità locale che li anima e li vive quotidianamente è sottoposta tanto alla frammentazione quanto ad un ricambio costante.
Ma urbs e civitas restano tuttavia accomunate da una simile dinamica: la commercializzazione del patrimonio costruito quanto degli status sociali. Una vetrina che attrae, coinvolge e fa girare l’economia, a scapito dei riferimenti culturali, sempre più sfruttati economicamente piuttosto che utilizzati per forgiare un senso di appartenenza locale, senso che fortunatamente è invece sempre più ricercato nell’ambito dei programmi europei relativi alla coesione sociale.

di Nico Bazzoli, 20 gennaio 2014