La fontana delle donne

La Fontana Maggiore di Perugia è come un libro di pietra che si sfoglia girandoci intorno. E’ come un grande orologio che scandisce il tempo cosmico e quello terreno.
Completato nel 1278, il monumento  fu realizzato sotto la supervisione dell’architetto Fra Bevignate, diventando il simbolo della Platea Magna, la piazza grande che da sempre è stata il fulcro della vita pubblica.
A partire dal XIII secolo, e per tutti i secoli a seguire, i rilievi e le iscrizioni della fontana perugina non hanno mai smesso di affascinare i passanti per la loro bellezza e per il loro complesso simbolismo.
Le scene scolpite nel ciclo dei dodici mesi, illustrate attraverso i rispettivi lavori nei campi, hanno trasmesso attraverso i secoli tradizioni e conoscenza, scandendo le fasi della semina e dei raccolti in accordo con le fasi lunari e con le levate eliache delle costellazioni celesti. 
Le allegorie, le personificazioni e i simboli scolpititi da Giovanni e Nicola Pisano hanno affascinato, secolo dopo secolo, generazione dopo generazione, donne, uomini, vecchi e bambini.
Una “fontana delle meraviglie” che continua oggi come ieri a far riflettere e sognare chiunque attraversi il sagrato della cattedrale.
Questo capolavoro dell’arte gotica italiana è in grado si svelare attraverso il linguaggio didascalico di simboli, allegorie e personificazioni, quelle usanze, quei saperi e quelle credenze che sono appartenuti alla cultura comunale del tredicesimo secolo.

La dama di Maggio sulla Fontana Maggiore di Perugia

 

Una fontana tutta al femminile

Un aspetto che ha colpito particolarmente la mia attenzione è quello della presenza femminile tra i rilievi della Fontana Maggiore. Così mi sono dedicata all’analisi iconografica di alcune delle figure scolpite dai Pisani, arrivando alla conclusione che la fontana perugina è animata da una forte componente di energia femminile, a partire dal bacino inferiore dove si incontrano le Arti Liberali e le scene  del ciclo dei mesi   fino a salire all’apice del monumento, sormontato dall’opera bronzea delle tre portatrici d’acqua .
Cominciamo col prendere in considerazione le figure collocate sul bacino superiore:  tra le allegorie troviamo la Vittoria Magna, la Chiesa Romana, la Teologia e l’allegoria di Roma. Quest’ultima  è una matrona seduta in trono con il capo velato, significativamente postta al di sopra delle scene che rappresentano il mito di fondazione della Città Eterna.
Anche la personificazione di Perugia è una matrona e il suo attributo è una cornucopia, a ricordare la fortuna e il potere economico e politico, raggiunti dal comune guelfo nella seconda metà del XIII secolo.
Orientata a sud, con lo sguardo rivolto verso il cardo principale, la personificazione di Perugia non è da sola: ad omaggiarla ci sono ai due lati le due signore che rappresentano i territori a lei sottomessi: a sinistra riconosciamo la signora di Chiusi, raffigurata mentre offre il grano a Perugia, e a destra la signora del Trasimeno, scolpita nell’atto di offrire il pesce di lago al potente comune che domina e protegge il territorio lacustre.

La personificazione di Perugia con la cornucopia

Le Arti Liberali hanno pure fattezze femminili, dalla Grammatica alla Dialettica, dalla Geometria alla Musica. E in abiti da donna sono pure la Filosofia e l’Astronomia, entrambe rappresentate frontalmente e con la corona in testa, a sottolineare la loro preminenza sopra ogni altra scienza del trivio e del quadrivio.
Tra i soggetti mitologici troviamo la Lupa che allattò Romolo e Remo. Le è accanto Rea Silvia, la sacerdotessa Vestale che per intervento divino di Marte concepì i gemelli fondatori. La madre di Romolo e Remo, figlia del re Numitore, è raffigurata con una gabbia in mano: un oggetto che qualcuno ha voluto interpretare come simbolo del voto di castità, anche se a me sembra più verosimile si tratti di un cesto dotato di coperchio, che potrebbe essere quello in cui i gemelli furono posti per essere lasciati nel Tevere, oppure che si tratti dell’oggetto al cui interno le sacerdotesse mantenevano acceso il “fuoco sacro” di Vesta.
Anche tra i personaggi biblici scolpiti a rilievo sulla fontana perugina troviamo figure femminili: mi riferisco in particolare alle tre mulieres perniciosae , come nel medioevo venivano chiamate, e cioè ad Eva, Salomé e Dalila. La loro presenza sulla fontana fa tornare in mente le terribili parole dell’abate benedettino Goffredo di Vendòme, vissuto nel dodicesimo secolo, la cui misoginia lo portò a condannarle, accusando le tre donne di aver “avvelenato il nostro primo genitore…strangolato Giovanni Battista, portato a morte il coraggioso Sansone…”.
Eva fecit me peccare” si legge nell’iscrizione che sormonta la biblica scena della cacciata dall’ Eden nel bacino inferiore. E’ Adamo a parlare in prima persona, accusando Eva di averlo indotto a peccare. Subito dopo, segue la scena in cui Dalila taglia le sette trecce di Sansone, privandolo in tal modo di forza e autorità.
Dall’alto della vasca superiore colpisce la figura di Salomè, raffigurata con in mano la testa decollata di Giovanni Battista. Secondo alcuni studiosi si tratterebbe di Giuditta, la bella vedova ebrea che tagliò il capo ad Oloferne salvando così il suo popolo oppresso dal terribile nemico. Salomè o Giuditta? Resta il dubbio, ma in entrambi i casi si tratta di donne coraggiose e temibili, mulieres perniciosae che con le  armi della seduzione e dell’inganno riuscirono ad ottenere ciò che volevano.
Donne da temere dunque, personalità tutt’altro che inermi e succubi degli uomini. Contrariamente a quanto si è soliti pensare, la donna medievale era ben integrata nella comunità civile di età comunale. Ella poteva rivestire vari ruoli, e godeva di stima e considerazione sia nella vita familiare che in quella sociale.
Questa integrazione della donna in ambito pubblico e privato non va interpretata come segno di emancipazione. Anche se elogiata nel suo ruolo di uxor (il termine latino che significa “donna sposata” sormonta le rappresentazioni delle donne raffigurate nel ciclo dei mesi), la donna del medioevo veniva considerata generalmente debole per natura, e in quanto tale era ritenuta un soggetto bisognoso di protezione e per questo venivano particolarmente tutelate dal diritto di età medievale.

Se dunque è vero che le donne nel medioevo non ebbero vita facile, altrettanto vero è che il loro ruolo nella società e nella famiglia di età comunale andrebbe riletto con maggiore attenzione, senza lasciarsi sviare dal condizionamento di luoghi comuni.

Antonella Bazzoli – 1 giugno 2009, aggiornato l’8 maggio 2021

Per approfondimenti:
Chi dice acqua, dice donna” articolo di A. Bazzoli, pubblicato su Medioevo, Anno XIII n.6 – giugno 2009, pagg. 88 – 95