San Gilio, il vero nome di Sant’Egidio

san-pietro-e-musei-vat-31La Galleria delle Carte Geografiche si trova nei Musei Vaticani, lungo l’itinerario che conduce alla Cappella Sistina.
Si tratta di un percorso di centoventi metri, lungo il quale alle pareti si possono ammirare le dettagliate rappresentazioni cartografiche delle varie regioni d’Italia, realizzate tra il 1581 e il 1583 per il pontefice Gregorio XIII da Ignazio Danti e aiuti.
Nell’intenzione del famoso cartografo, nonché matematico e astronomo (ricordiamo che Ignazio Danti nacque a Perugia nel 1536 e morì ad Alatri nel 1586), la Galleria delle Carte Geografiche doveva rappresentare una sorta di viaggio immaginario lungo la catena appenninica, con i territori e i porti della costa adriatica verso est e quelli della costa tirrenica ad ovest.
Alcune carte, compresa quella dell’Umbria risultano capovolte dimostrando come nel XVI secolo non vi era ancora la consuetudine di fissare il nord nella parte alta delle mappe e delle carte geografiche.
Oltre a rappresentare una testimonianza preziosa da un punto di vista artistico, geografico e cartografico, la rassegna delle mappe del territorio italiano realizzate da Ignazio Danti ci consente di risalire a notizie storiche inedite , o comunque poco note, soprattutto attraverso l’analisi etimologica dei toponimi utilizzati almeno fino alla fine del XVI secolo!
Mentre passeggiavo lungo la suggestiva Galleria, il mio amore per la terra umbra ha attirato la mia attenzione sulle carte dell’Agro Perugino e dell’Agro Spoletino. A quel tempo il territorio dell’alta Umbria rientrava ancora nel Ducato di Urbino, comprendendovi i  comuni di Gubbio, Scheggia Pascelupo e Costacciaro nonché il percorso della Flaminia verso Fano, territorio che il Danti ha rappresentato in una delle quattro carte dedicate all’Emilia Romagna, e cioè quella che comprende anche la città di Rimini e parte dell’attuale Romagna.
roma-musei-vaticani-e-san-pietro-231Tornando alla carta dell’Agro Perugino, il particolare della foto che ho qui pubblicato mostra chiaramente il territorio collinare che si estende tra Perugia, Deruta ed Assisi dove si possono riconoscere i nomi di borghi e castelli, e dove sono bene in evidenza quei ponti che ancora oggi attraversano il Tevere: “Ponte San Gianni” (attuale Ponte San Giovanni), “Ponte Valle di Ceppi” (oggi Pontevalleceppi), Ponte Felcino e Ponte di Pattoli (Ponte Pattoli).
Lungo il corso del fiume Chiascio (allora chiamato Chiaggio) nei pressi di Bastia, si legge il nome “Ponte del Chiaggio, utilizzato per attraversare il fiume lungo il tragitto tra Perugia e Assisi.
Particolarmente interessante si è poi rivelato il
toponimo SAN GILIO, individuabile nella mappa tra P. Valle di Ceppi e Spedaletto (quest’ultimo corrispondente all’attuale Ospedalicchio).
Si tratta della frazione perugina di Sant’Egidio che dà il nome anche all’Aeroporto Internazionale dell’Umbria.
Situato sull’altra sponda del Tevere rispetto alla vicina Perugia, Sant’Egidio veniva dunque chiamato “San Gilio” almeno fino a tutto il XVI secolo.
Avevo sempre pensato che il toponimo di Sant’Egidio fosse derivato dal nome dell’omonimo frate, uno dei primi compagni di Francesco d’Assisi.
Ma ora scopro che il toponimo deriva invece dalla figura di un santo eremita vissuto nell’alto medioevo, forse intorno al VII secolo, veneratissimo in Francia col nome di Saint Gilles, verosimilmente italianizzato in San Gilio, e in seguito divenuto Sant’Egidio.
Grazie ad un interessante scambio di notizie in rete, sono venuta a sapere dall’erudito studioso locale Euro Puletti  che sul Monte Cucco vi sono due località i cui toponimi sembrano ricollegarsi al culto del santo provenzale: la Fonte di San Giglio e le Balze di San Giglio.
il re ferisce con una freccia San Gillio che cercava di proteggere la cerva sua amica

Vale allora la pena di rispolverare la leggenda agiografica di questo eremita, la cui memoria sembra essersi perduta nel tempo.
Secondo una tradizione del X secolo, riportata anche nella “Legenda Aurea” di Jacopo da Varazze, l’eremita sarebbe nato ad Atene e si sarebbe poi trasferito in Provenza per fondare un monastero nei pressi di Arles.
La leggenda riporta in particolare che il santo, stabilitosi in una regione desertica della Linguadoca, viveva in solitudine in compagnia di una cerva. Durante una battuta di caccia il re avrebbe cercato di colpire l’animale, ferendo però con una freccia San Gilio mentre cercava di proteggere la cerva sua amica. Per farsi perdonare dall’eremita il re gli avrebbe poi regalato delle terre dove poter costruire un monastero.
Nella National Gallery di Londra è esposta un’opera cinquecentesca di artista sconosciuto, in cui è descritta la scena in cui il re inginocchiato chiede perdono all’eremita.
A Nimes, nella regione dell’Occitania, ancora oggi si conserva la bellissima facciata romanica provenzale della chiesa di Saint Gilles du Gard, dove sono conservate le spoglie del santo in una cripta che fu per lungo tempo un’ importante meta di pellegrinaggio.

Ricordato dalla chiesa cattolica il primo settembre, anniversario della sua morte, San Gilio fu venerato un po’ ovunque nell’Europa medievale cristiana, tanto che il suo culto si diffuse fin nell’Europa oriental, in Slovacchia e in Transilvania, e al nord fino in Sassonia e nei Paesi Bassi.
Nei paesi di lingua anglosassone è conosciuto e venerato come Saint Giles, mentre nelle terre della penisola iberica il suo nome è San Gil. In Italia il suo culto è attestato a Firenze, dove nel 1284 fu fondata una compagnia laica sotto il suo patronato.
Oltre a Sant’Egidio alla Vibrata in Abruzzo, Sant’Egidio del Monte Albino in Campania, e un Sant’Egidio che si trova a nove chilometri da Ferrara, vi è anche un comune piemontese di tremila abitanti, situato a nord ovest di Torino, che conserva ancora oggi il nome originale “San Gillio” , proprio come veniva chiamato nella carta cinquecentesca dell’Agro perugino il piccolo borgo divenuto oggi aeroporto internazionale dell’Umbria!

Antonella Bazzoli, 18 dicembre 2017 (updated 22nd  August  2018)