Donne e Dee: le feste di Aprile nell’antica Roma

Il mese di Aprile veniva salutato, nell’antico calendario di Romolo, con riti al femminile legati al risveglio della natura. Dare il benvenuto alla rinascita primaverile, dopo la morte apparente della natura nel periodo invernale, e festeggiare con specifici rituali il ciclico ritorno della feconda e generosa nuova stagione, era una  consuetudine comune a molte culture di popoli antichi, e spesso tali festeggiamenti rituali si associavano simbolicamente all’energia vitale del femminino sacro.
Nel calendario religioso di Roma antica, in particolare, le Calende del mese di Aprile erano dedicate alla dea Fortuna e  a Venere Verticordia. A quest’ultima, celebrata durante il primo giorno di Aprile, le donne romane offrivano omaggi floreali. 
Veneralia venivano chiamati questi rituali in onore di Venere, la dea dell’amore che il poeta Ovidio così descrive nella sua famosa opera “I Fasti”: “…diede la loro origine agli alberi e ai seminati, riunì insieme gli animi rozzi degli uomini e insegnò loro ad unirsi, ciascuno con la sua congeniale compagna” (IV, 96-98).
Rivolgendosi  non solo alle vergini e alle spose, ma anche alle meretrici,  il poeta latino esorta con i suoi versi tutte le donne ad onorare Venere Verticordia  (nome che deriva dall’unione dei termini “verso” e “corde” , col significato di volgimento del cuore). Esplicito è il riferimento alla prerogativa divina di Venere di essere un riferimento e una guida per gli esseri che si accoppiano con  funzione procreativa. Si riteneva infatti che grazie a Venere le donne di Roma a un certo punto della propria vita “volgessero” i propri cuori verso la scelta del giusto compagno con cui unirsi in matrimonio.
Suggestiva è anche l’ esortazione con cui Ovidio invita le donne di Roma a partecipare al bagno rituale del primo Aprile: “Madri e nuore latine, e anche voi che non portate benda né lunga veste, venerate ugualmente la dea… la dea è tutta da detergere… offritele rose novelle e altri fiori. Ella vuole che anche voi vi laviate sotto un verde mirto…” (Ov. Fasti, IV, 133-139). Questa tradizione rituale, ben radicata nella tradizione di Roma antica, prevedeva lavacri del simulacro di Venere, ai quali seguiva un bagno collettivo che vedeva le devote di Venere immergersi in acqua all’ombra di un mirto, pianta sacra alla dea dell’amore. Dopo aver offerto alla loro divinità tutelare omaggi floreali, le seguaci di Venere Verticordia bevevano il cocetum, un preparato a base di latte, papavero pestato e miele raccolto dai favi, che per le sue caratteristiche oppiacee trasportava le devote nel mondo dei sogni e dell’oblio.


Alla festa dei Veneralia seguiva quella dei Megalenses, riti che che nel calendario romuleo erano celebrati in onore della dea Cibele. Si tratterebbe in questo caso di antichissimi riti di origine frigia che a Roma si celebravano già a partire dal 15  marzo, e proseguivano poi, dal 4 al 10 aprile, con i cosiddetti ludi megalenses, giochi dedicati alla Magna Mater,  la greca Megale Meter (μεγάλη μήτηρ).
Sempre ad Aprile si svolgevano poi i ludi in onore di Cerere, chiamati Ceriales. Questi proseguivano per otto giorni consecutivi, dal 12 al 19 aprile, alternando rituali simbolici di fecondazione, giochi nel circo e processioni notturne.
Ugualmente associati alla rinascita della madre Terra in primavera  vi erano poi i rituali del 15 Aprile, i cosiddetti Fordicidia, che consistevano in un sacrificio di tipo propiziatorio durante il quale delle vacche gravide venivano offerte alla feconda dea Tellus.  Si tratta in questo caso di una consuetudine agro-pastorale, volta ad assicurare un ciclo stagionale fortunato e produttivo: la vacca gravida rappresentava infatti simbolicamente la Madre Terra che offre agli uomini e agli animali i propri frutti.
Ed eccoci arrivati al 21 aprile quando, in occasione del tradizionale Natale di Roma, si svolgevano rituali di tipo propiziatorio in onore di Pales, la dea protettrice della pastorizia. A lei erano dedicati i Parilia (o Palilia), festeggiamenti religiosi consistenti in una lustratio propiziatoria, tradizionalmente celebrata a protezione del bestiame e dei campi coltivati.
E sempre alla dea dell’amore – in questo caso invocata con l’epiteto di Ericina – erano dedicati i Vinalia del 23 Aprile, festa sacra dall’effetto liberatorio in cui il vino era protagonista, e la cui partecipazione non era consentita alle matrone di Roma, essendo invece riservata alle meretrici. Riferisce infatti Varrone che le professae (cioè le prostitute, chiamate anche vulgares puellae da Ovidio) usavano offrire alla dea  Venere, protettrice dei giardini, composizioni di rose, giunchi, sisimbro ed incenso.
Si tratta di tradizioni e consuetudini la cui eredità culturale sopravvive, più o meno consapevolmente, anche nel corso del medioevo. Un esempio in tal senso è dato dall’iconografia di un personaggio femminile, scolpito a rilievo sulla Fontana Maggiore di Perugia nel 1278, dove in corrispondenza del  mese di Aprile si vede una sposa novella, coronata di fiori ed elegantemente vestita con una lunga tunica classica, stretta sotto il seno da una cintura. La dama di aprile è rappresentata frontalmente, e sta a fianco del suo sposo, recando in una mano un cesto fiorito e nell’altra un mazzo di fiori…

Legati alla fertilità e alla sfera della sessualità femminile vi erano poi, sempre nel calendario religioso di Roma antica, i cosiddetti Floralia, festeggiamenti che iniziavano il 28 Aprile. A proposito di questi stravaganti ludi dedicati alla dea Flora, così scriveva Ovidio: “Viene la dea dei fiori cinta di variopinte corone, e in teatro s’usano allora scherzi assai licenziosi. La sacra festa di Flora si estende sino alle Calende di maggio” (IV, 945-947). I Floralia  avevano alcuni aspetti in comune con gli altri spettacoli circensi, anche se in questo caso, al posto degli atleti impegnati a combattere feroci belve, ad esibirsi c’ erano soltanto donne dedite alla prostituzione, intente a sfidare e a gareggiare con capre e lepri. Questi giochi nel circo prevedevano tra l’altro spogliarelli, danze, mimi e vari ludi dal carattere licenzioso. Usanze insolite e curiose, indubbiamente, che tuttavia andrebbero comprese tenendo conto come nell’antica Roma le meretrici non solo fossero tollerate, ma addirittura venissero protette dagli Edili, ovvero dai magistrati che si occupavano dei ludi circensi. Concludendo, se guardiamo nel complesso alle varie festività di Aprile del calendario di Roma antica, notiamo che quasi due terzi del mese erano occupati da ludi e rituali in onore di divinità femminili, e che tutte queste festività religiose  erano in qualche modo legate al risveglio della natura e all’atteso ritorno della Primavera!
Oltre alle celebrazioni in funzione agropastorale, come quelle dedicate a Cerere, Pales e Tellus,  non mancavano, come abbiamo visto, riti praticati con funzione procreativa (e quindi socialmente produttiva), ad esempio la festa di Venere Verticordia alla quale partecipavano le donne di Roma. E infine, a salutare la nuova stagione e a chiudere allegramente, seppur licenziosamente, il mese primaverile, si celebravano ludi con funzione puramente istintiva e liberatoria, come Vinalia e i Floralia .

Antonella Bazzoli – 1 aprile 2009 – aggiornato 31 marzo 2023