Francesco e Federico II alla corte del Sultano

Ottocento anni fa, il 24 giugno del 1219, una nave carica di crociati bolognesi partì per la Terrasanta.
A bordo vi era anche il trentasettenne Francesco d’Assisi, imbarcatosi nel porto di Ancona insieme ad altri frati per raggiungere Acri, a quel tempo capitale del regno latino di Gerusalemme.
Ad attenderlo lungo la costa siriana c’era il suo amico frate Elia, che era stato inviato da Francesco due anni prima nel regno gerosolimitano con la carica di Ministro di Siria e d’Oltremare.
Probabilmente frate Elia era ritenuto il più adatto ad intraprendere la delicata missione in Terrasanta, in virtù della sua vasta cultura in ogni campo e delle sue note capacità diplomatiche (ricordiamo che sarebbe divenuto in seguito fidato consigliere sia dell’imperatore Federico II che del papa Gregorio IX).
Da San Giovanni d’Acri i frati si spostarono a Damietta, luogo che i crociati ritenevano strategico per la  riconquista di Gerusalemme. E fu lì che Francesco e gli altri rimasero a lungo, loro malgrado, divenendo testimoni degli scontri cruenti e delle battaglie sanguinose che si stavano susseguendo tra franchi e saraceni in quella drammatica estate di ottocento anni fa.
Francesco fu costretto a rimanere tutto il mese di agosto nel campo crociato, in attesa del permesso che avrebbe dovuto concedergli il cardinale Pelagio, legato papale intransigente e bellicoso, ritenuto il responsabile del fallimento della quinta crociata. Senza quel permesso Francesco non sarebbe potuto passare nel campo nemico.
Lo scopo ultimo di Francesco non era il martirio, ma era incontrare il Sultano d’Egitto Al-Kamil, chiamato “il re perfetto” perché era un sovrano illuminato, colto e mite, molto vicino spiritualmente alla corrente mistica dei Sufi.
Come riuscì l’umile frate vestito di stracci ad attraversare il campo nemico e ad essere accolto e ospitato per parecchi giorni alla corte del Sultano, resta un mistero, anche se ritengo che a rendere possibile quello storico e improbabile incontro, sia stata l’abilità diplomatica di frate Elia, che come abbiamo appena visto si trovava in Terrasanta fin dal 1217.

Chiesa superiore di San Francesco, Assisi, Francesco alla corte del sultano

Quello tra Francesco e il Sultano d’Egitto fu senza dubbio un incontro memorabile che a quanto pare andò avanti per parecchi giorni, come attestano varie fonti.
A distanza di otto secoli possiamo dire che si trattò del primo tentativo concreto  di dialogo interreligioso tra cristiani e musulmani, reso possibile da Francesco nel nome di un unico Dio.
Malik Al-Kamil accolse Francesco con cordialità e rispetto, ritenendo che fosse stato inviato da Dio. Quando infatti chiese a Francesco perché fosse arrivato fin lì, il frate di Assisi rispose che era stato Dio a mandarlo da lui. Fu così che il Sultano lo trattò con riguardo e lo ascoltò volentieri per molti giorni.
D’altronde il sultano Ayubbide, il nipote del temuto Saladino che aveva preso Gerusalemme nel 1187, era solito rispettare i monaci e i mistici in genere, anche se di comunità religiose diverse.
Inoltre sappiamo che Al-Kamil non era estraneo ai costumi e alla fede dei cavalieri crociati, avendo lui stesso fin da giovanissimo conquistato l’amicizia di Riccardo Cuor di Leone, il quale lo aveva addirittura nominato cavaliere nel giorno di Pentecoste del 1192!

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All’incontro tra Francesco e il Sultano fu presente anche il venerabile saggio novantenne Fakhr-al-Din Farisi, guida spirituale di Al -Kamil.
Grazie all’islamologo Luis Massignon sappiamo che l’epigrafe di un cippo funerario risalente al 1224 riporta come il defunto Fakhr al-Din Muhammad b. Ibraim al Farisi fosse presente al “celebre scambio di vedute”  avvenuto tra il sultano Malik Al Kamil e un rahib (monaco), identificato dallo studioso francese proprio con Francesco.
Lo storico incontro del 1219  lasciò dunque un segno profondo, non solo nel mondo cristiano, ma anche nel mondo arabo: Fakhr-al-Din Farisi, in virtù della sua riconosciuta autorità spirituale, sarebbe stato consultato dal Sultano in merito all’affare del famoso monaco (Francesco). Quello scambio di vedute tra due grandi della storia fu talmente importante, da meritare di essere associato alla memoria dell’anziano sacerdote sulla lapide della sua tomba!

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Il comportamento rispettoso e cortese tenuto dal Sultano nei confronti del santo di Assisi è confermato anche da Bonaventura da Bagnoregio, il quale riporta che Al-Kamil “volentieri ascoltava Francesco. Anzi lo invitò pure, con una certa insistenza, a rimanere con lui…”.
Come è stato già dimostrato da alcuni studiosi, il biografo ufficiale di Francesco inventò tuttavia di sana pianta l’episodio dell’ordalia, episodio che verrà poi 
rappresentato spesso nelle opere d’arte successive, come si vede ad esempio nell’affresco di Giotto realizzato per la chiesa superiore di Assisi alla fine del XIII secolo, e in quello di Benozzo Bozzoli del XV secolo per la chiesa di San Francesco a Montefalco.

 

L’umile Francesco non avrebbe mai accettato di partecipare ad una disputa religiosa, come pretende invece sia accaduto Bonaventura da Bagnoregio, e ciò si evince chiaramente dagli scritti autografi del santo, in particolare dal capitolo XVI della regola “non bollata”, redatta subito dopo il rientro di Francesco dal suo viaggio in Terrasanta.
Il santo d’Assisi non avrebbe inoltre mai accettato (né tantomeno proposto) di prendere parte ad alcuna prova del fuoco! Non solo perché la pratica dell’ordalia era stata giudicata barbara e pericolosa dal precedente concilio del 1215, ma anche perché sia Francesco che Al-Kamil credevano nello stesso unico Dio, lo pregarono insieme ed erano convinti che si potesse convivere nei luoghi santi, pur appartenendo a religioni e culture diverse.
Quasi dieci anni dopo, fallita la V crociata, tutte le speranze erano riposte nell’imperatore Federico II. Quest’ultimo, dopo avere a lungo rimandato la partenza per la Terrasanta tanto da essere stato per questo scomunicato dal papa, intraprese finalmente il viaggio via mare, imbarcandosi da Brindisi nel giugno del 1228, alla guida di una flotta di quaranta galere.
Anche l’imperatore svevo fu ospitato alla corte del Sultano d’Egitto. La profonda amicizia che nacque tra i due sovrani culminò in quello storico accordo di pace che contemplava la restituzione di Gerusalemme e altri luoghi della cristianità a Federico II, insieme a una tregua di dieci anni.Fu così che con le sole armi della diplomazia e della cordialità, e soprattutto senza alcuno spargimento di sangue, la VI crociata riuscì laddove la V aveva miseramente fallito.
Il 17 marzo del 1229 l’imperatore Federico II entrò a Gerusalemme, e il giorno dopo, nonostante la scomunica pesasse ancora su di lui, si autoincoronò nella chiesa del Santo Sepolcro.
Fu questa l’unica crociata che si svolse pacificamente, portando alla riconquista di Gerusalemme e a una tregua di dieci anni.
Il viaggio a Damietta alla corte del Sultano, intrapreso nove anni prima dall’umile frate Francesco, non può dunque essere considerato un fallimento (come qualcuno ha invece sostenuto), ma fornì semmai un presupposto importante (se non determinante) per la successiva trattativa di pace sottoscritta da Federico II e  dal Sultano Al-Kamil.
In altre parole ritengo che san Francesco d’Assisi, con l’aiuto di frate Elia (ministro in Oriente fin dal 1217), abbia in qualche modo aperto la strada alle successive trattative diplomatiche tra il potente imperatore svevo e il sultano d’Egitto, mostrando che era possibile la convivenza pacifica tra cristiani e saraceni, e creando altresì le premesse affinché Federico II riottenesse Gerusalemme senza usare né eserciti né armi.
 
Antonella Bazzoli, 20 novembre 2019