Quando Perugia guardava ad Oriente

Poche sono le fonti che ci parlano della Perugia di età alto medievale. Sappiamo che in quei secoli la sua organizzazione politica e amministrativa era strettamente legata a quella dell’Esarcato.
Fatta eccezione per brevi periodi, il territorio di Perugia rimase infatti costantemente sotto l’influenza dell’Impero Romano d’Oriente.
Per saperne di più su questo affascinante, eppure ancora oscuro, periodo della storia medievale di Perugia, prendiamo in esame un monumento di età paleocristiana che si è conservato fino a noi attraverso i secoli:  il Tempio di Sant’Angelo in Perugia, chiesa a pianta circolare che si trova a  nord della porta settentrionale etrusca.
Il visitatore che entri oggi nel Tempio di Sant’Angelo rimane colpito dalla bellezza dell’impianto architettonico, in particolare dalla simmetria e dall’eleganza delle sedici colonne provenienti da preesistenti edifici di età romana, qui riutilizzate e disposte secondo un preciso disegno simbolico. Sormontati da eleganti capitelli (anch’essi di spoglio), i sostegni separano lo spazio del deambulatorio da quello del vano centrale, dividendo in tal modo l’ interno in due navate concentriche.
A rendere la disposizione architettonica ancora più suggestiva contribuiscono i raggi del sole, che penetrano dall’alto attraverso le dodici aperture ad arco e illuminano i marmi policromi e il granito grigio creando tra le due navate uno straordinario contrasto di luci ed ombre.

La mancanza di fonti dirette sulla data di costruzione di questo antichissimo tempio cristiano, ha portato gli studiosi a diverse ipotesi cronologiche: se infatti la critica più recente tende a datare l’edificio agli inizi del VII secolo [1], la tesi più tradizionale continua a datarlo al V – VI secolo d.C.
La scelta dell’ubicazione del tempio, sorto sulla sommità di un colle, in un sito già attestato come necropoli di età etruscoromana,  fu senza dubbio una scelta strategica. Passava infatti da qui l’importante tracciato dell’Amerina, importante via di comunicazione che uscendo dal cardo cittadino attraverso l’ Arco di Augusto, proseguiva poi verso nord in direzione di  Gubbio, per ricongiungersi più avanti con la via consolare Flaminia.
Il trovarsi lungo questa antica via che fungeva anche da diverticolo della Cassia, e che dal VI secolo rappresentò il principale collegamento tra Roma e Ravenna , consentì indubbiamente al territorio di Perugia non solo di avere un ruolo primario nella diffusione del cristianesimo, ma anche di mantenere una relativa autonomia politica e amministrativa sia nei confronti del pontefice di Roma che dell’esarca di Costantinopoli.
E’ quanto sostiene la studiosa Donatella Scortecci, secondo la quale in età bizantina la città si sarebbe configurata «come un ducato autonomo, con a capo un magister militum dal potere non solo militare ma anche civile, oltre che di mediazione religiosa tra il pontefice e il clero locale» [2].
Pare che già alla fine del VI secolo Perugia vantasse la presenza di un alto comandante di guarnigione, il magister militum appunto [3], la cui carica di Generalissimo delle truppe dell’Impero d’Oriente lo poneva alle dirette dipendenze dell’Esarca.

dodici aperture ad arco si aprono nel tamburo centrale

Al seguito dell’illustre e potente figura del magister militum si sarebbe costituita una vera e propria comunità di origine greco orientale, formata dai milites e dalle rispettive famiglie residenti a Perugia.
E’ possibile che tale gruppo militare di lingua greca, giunto a Perugia al seguito del proprio comandante di guarnigione, si sia insediato stabilmente proprio nel quartiere di Porta Sant’Angelo, borgo a nord di Perugia che cominciava allora a svilupparsi extra moenia lungo il tracciato della via Amerina [4].
Seguendo tale ipotesi si può allora immaginare che l’antico santuario micaelico, che s’incontra all’apice del borgo Sant’Angelo, abbia rappresentato il luogo di rappresentanza del magister militum e del gruppo di lingua greca che lo attorniava.
Ipotesi che, come sostiene la Scortecci, sarebbe confermata anche dalla somiglianza del tempio perugino con la chiesa palatina di San Vitale a Ravenna, attestata come luogo di culto ufficiale dell’imperatore e della sua corte [5].
Una cosa è certa: a partire da V e VI secolo l’Impero d’Oriente cominciò a rappresentare per Perugia il più importante modello di riferimento, non solo in campo politico e amministrativo, ma anche religioso e architettonico.
La chiesa di Sant’Angelo, con la sua pianta centrale in origine caratterizzata da quattro cappelle radiali (perfettamente orientate secondo i punti cardinali) e con il suo tamburo sopraelevato, è indubbiamente l’esempio più evidente di come in quegli anni travagliati, caratterizzati dalla pressione militare dei Goti prima, e da quella dei Longobardi poi, il Ducato di Perugia seppe rinnovarsi con edifici ispirati ai prototipi dell’Oriente cristiano.
Tra i prinicipali modelli architettonici di riferimento per le chiese che in quei secoli sorsero in Occidente, vi fu senza dubbio il Santo Sepolcro di Gerusalemme la cui Anastasis era stata voluta da Costantino con struttura circolare, formata da tre anelli concentrici, al cui centro era custodita la cavità sacra in cui Cristo era stato sepolto [6].

Osservando la complessa distribuzione degli spazi interni del tempio di Sant’Angelo, appare evidente la perizia costruttiva dei suoi architetti, e  si evidenzia al contempo come l’edificio sia «l’esito di un linguaggio artistico complesso, che si è avvalso di stilemi sia orientali che occidentali, elaborati secondo un gusto che mostra precisi rapporti con i centri di maggior interesse dell’Impero d’Occidente: Roma e Ravenna»[7].

Le sedici colonne di spoglio , caratterizzate da marmi policromi e da granito, sostengono tramite arcate lo svettante tamburo centrale sopraelevato, che in origine doveva essere più alto dell’attuale. E’ qui che si aprono le dodici finestre originali ad arco che l’architetto medievale dispose simbolicamente in quattro gruppi da tre, orientandole secondo i punti cardinali e collocandole in esatta corrispondenza con i sottostanti triforia[8].

il vano centrale è delimitato da un peristilio formato da sedici colonne

La presenza di dodici finestre lungo il perimetro del tamburo centrale, così come le sottostanti dodici aperture (triforia) che in origine davano accesso alle quattro cappelle radiali, hanno indubbiamente un valore altamente simbolico.
Il numero dodici, come è noto, richiama il numero degli apostoli nonché quello delle dodici tribù di Israele. A mio avviso il riferimento teologico di questo simbolismo numerico andrebbe ricercato nel libro dell’Apocalisse, nel passo in cui viene descritta con queste parole la Gerusalemme Celeste: «La città è cinta da un grande e alto muro con dodici porte, sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle 12 tribù dei figli d’Israele. A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte, e a occidente tre porte» (Ap 21, 9-13).


[1] Scortecci 1991, p. 428

[2] Ivi, p. 420.

[3] Il magister militum, investito del comando delle truppe d’Occidente, divenne a partire dal V secolo un vero e proprio sovrano, dotato di relativa autonomia e libertà d’azione.

[4] Scortecci 1991, p. 423

[5] «In modulo certamente ridotto e appiattito su un solo piano ‒ vista anche la diversità di rango del destinatario, l’imperatore nell’uno e il magister nell’altro – il Sant’Angelo ricorda, anche nella singolare distribuzione degli spazi interni, la chiesa palatina di San Vitale a Ravenna, riconosciuta come edificio adibito alle cerimonie religiose riservate alla corte» Ivi, p. 425.

[6] Fabio Palombaro sostiene che il tempio di Sant’Angelo «nasce con una comparabilità al Santo Sepolcro, addirittura superiore a quella del Santo Stefano Rotondo di Roma». Egli peraltro ritiene che la chiesa dedicata all’arcangelo Michele sia del v secolo e che Perugia già da allora abbia guardato con attenzione a ciò che avveniva a Roma e a Gerusalemme, come dimostrerebbe anche la somiglianza del tempio perugino con il Santo Stefano romano. Secondo lo studioso il Santo Sepolcro di Gerusalemme sarebbe stato il modello architettonico di riferimento sia per la chiesa di Santo Stefano Rotondo che per il tempio di Sant’Angelo in Perugia (Palombaro 2007, p. 122)

[7] Scortecci 1991, p. 417.

[8] Così si chiamano le aperture a tre fornici, di cui il centrale maggiore dei due laterali, che parzialmente si riconoscono ancora lungo la parete circolare dell’ambulacro, in particolare in corrispondenza dei due vani periferici a oriente e a settentrione, che si sono conservati fino ai nostri giorni.

Antonella Bazzoli – 11 febbraio 2014

Per approfondimenti:

A. Bazzoli VERA DEUM FACIES. A proposito delle iscrizioni del Tempio di Sant’Angelo in Perugia, in «Bollettino della Deputazione di storia patria per l’Umbria», CIX (2012), fasc. I -II, pp. 463-500.