La sirena a due code della necropoli di Sovana

Nel mio ritornare a Sovana mi sono soffermata sull’immagine emblematica che affiora qua e là, sulle tombe, della “sirena bicaudata” (a doppia coda aperta). E, nel percorrere i sentieri scoscesi della Necropoli rupestre, la sirena emerge spesso, per ricordare un’antica melodia… che narra di energie della dea della Terra, di un femminino primigenio. E alla ricerca della dea sono salita e riscesa.
C’è una tomba chiamata proprio della “Sirena”, nella Necropoli di Sopraripa, a Sovana, del III secolo a.C.
Vi si arriva salendo, su un sentiero-trekking, nel folto della silenziosa vegetazione e là la strada termina e ci si ferma, osservando da lontano l’imponente roccia.

Un grande vano si apre nella parete rocciosa, dove il defunto è rappresentato già nell’aldilà che banchetta. Ai suoi lati ci sono dei demoni, custodi della porta dell’Ade e, al di sopra, nel timpano, si distendono le spire di una sirena per l’appunto bicaudata.
Sotto al monumento c’è la camera funeraria, molto piccola, che forse ospitava solo le ceneri di VEL NULINA (Figlio di) Vel, il cui nome è ancora visibile inciso nella nicchia.
Purtroppo la tomba (come altre della zona) ha subito un grave deterioramento e distacco di alcuni blocchi, dovuto agli agenti atmosferici: i danni sono stati riparati tra il 1999 e il 2003.
La sirena è presente anche nel timpano della tomba ILDEBRANDA e in quella dei DEMONI ALATI, sempre a Sovana.
La sirena che venne vista come una Scilla, un mostro marino, un demone alato, irradia una forza misteriosa che crea un’atmosfera mistica.
Queste sirene, in realtà, richiamano a culture precedenti, a tempi in cui il “femminile” era considerato sacro e le donne garantivano il contatto con la dimensione divina.
Sirene-psicopompo che nel ruolo di LASA accompagnano e proteggono, collegano la realtà umana a quella invisibile.
Essa si fa porta d’accesso agli Inferi per scortare l’anima verso il mondo degli antenati, dei LARES.
E, infatti, le sirene sono poste all’entrata delle famose Vie Cave, per porre sotto la protezione degli Spiriti Familiari degli Antenati.
La sirena è stata accostata ad URCLA/VOLTUMNA, versione etrusca della dea della Terra nelle dodici regioni, emanazione della Madre Universale.
Le sue code serpentine indicano il collegamento con le energie del sottosuolo e la sua natura ctonia.
Il serpente, a cui sembra alludere nella sua doppia coda, nel suo cambiare e rinnovare pelle, è simbolo di trasformazione e di immortalità.
Le antichissime divinità femminili erano spesso associate a dei serpenti, come la dea-madre di Creta.
La coda della nostra sirena, “pisciforme”, ne collega il culto all’acqua, sorgente di vita, attraverso un corpo che si collega all’elemento acquatico.
La sirena bicaudata fu, probabilmente, un potente simbolo, noto in svariate culture dell’Europa antica, immagine archetipica della dea della Terra.
L’importanza di Sovana è resa ancora più evidente da queste presenze e dal fasto delle sue Necropoli, con i simboli della dea della Terra.
Questi simboli, in un territorio magico intorno a Pitigliano, sussurrano al nostro comune inconscio ancestrale, patrimonio collettivo, di uno spirito profondo e ri-animante del mondo antico.
Dal corpo della dea morte e rinascita si congiungono in un tempo sacro che promana dal femminile, per riunire e smussare tutti gli opposti.
Il femminile cosmico sostiene l’anima e la accoglie nella sua catarsi e trasformazione evolutiva.
La sirena presenta la “scissione” del corpo in due parti, quella bassa, più oscura e quella alta, luminosa. La scissione implica che gli opposti vengano separati senza riunirsi ma la dea possiede le chiavi della porta che separa la fertilità della Terra dall’arduo deserto.
Il Microcosmo, per gli Etruschi, riflesso del numinoso Macrocosmo, richiede un equilibrio e una superiore armonia sulla Terra.
Terra non desolata ma specchio profondo della nostra stessa anima.
L’Italia è disseminata di queste sirene di varie epoche e di diversi luoghi.
A Sovana, Pienza, Lucca, Bomarzo,Cerveteri, Pavia, in Piemonte…e chissà ancora!

testo e foto di Raffaella Galli – 17 maggio 2015