Quando vien la candelora…

La festa della Candelora si svolge ancora oggi in alcuni centri rurali del nostro paese con celebrazioni religiose che comprendono  funzioni, processioni e benedizioni delle candele.
Il termine Candelora deriva dall’uso delle candele che nel cristianesimo rappresentano simbolicamente  la luce con cui Gesù illumina gli uomini.
Pare che nell’anno 542 sia stato l’imperatore Giustiniano a fissare la ricorrenza al 2 di febbraio. Data molto significativa, poiché rappresenta il punto mediano tra il solstizio d’inverno e l’ equinozio di primavera.
Altre fonti riferiscono invece che fu papa Gelasio (492-496) ad istituire ufficialmente la festa della Candelora, al fine di trasformare un arcaico rito pagano in una tradizione cristiana.
Le antiche fiaccolate che salutavano il ritorno della luce per le vie di Roma, in occasione dei Lupercalia del 15 febbraio, non piacevano infatti al pontefice il quale, non riuscendo ad eliminarle, pensò bene di trasformarle in una celebrazione cattolica legata al culto della Vergine.
Così ancora oggi, nel calendario liturgico cristiano, la Candelora coincide con due ricorrenze: la Purificazione di Maria  e la Presentazione di Gesù nel Tempio.
Ma in cosa consiste la purificazione di Maria? Per capirlo dobbiamo prendere in considerazione la tradizione ebraica che obbligava le puerpere a non entrare nel tempio prima che fossero passati quaranta giorni dal parto, poichè in quel lasso di tempo esse venivano considerate impure.
Quaranta giorni. Tanti quanti quelli che separano il Natale dal 2 di febbraio.  E certamente non è un caso che quaranta giorni siano anche quelli che dovranno ancora passare dal 2 di febbraio per poter dire che l’inverno è finito.
Quando vien la Candelora de l’inverno semo fora, ma se fa lo solicillo quaranta giorni d’invernicillo“. Così recita un detto popolare tuttora documentato nelle zone di Spello e Foligno (Umbria), ribadendo che al secondo giorno di febbraio siamo solo a metà dell’inverno.
Seppure con varianti e adattamenti differenti di tipo dialettale e folklorico, il proverbio si ripropone pressoché identico in molte regioni d’Italia.
In Veneto ad esempio si dice: “Da la Madona Candeòra de l’inverno semo fora; ma se xe piova e vento, de l’inverno semo drento“.  A Napoli invece si recita: ”A Cannelora Viero è fora! Risponde San Biase: Vierno mo’ trase! dice a vecchia dint’ a tana: …nce vo’ ‘nata quarantana! cant’ o monaco dint’ o refettorio: tann’ è estate quann’ è Sant’Antonio!

Febbraio è dunque il periodo dell’anno che segna il passaggio dal buio alla luce. Non solo. Febbraio è anche il mese più adatto per lasciare dietro di sé il vecchio e prepararsi ad accogliere il nuovo che tornerà con la rinascita primaverile.
Per questo aspetto simbolico il mese di Febbraio è stato sempre collegato a riti di purificazione. Anche nell’antica tradizione celtica si celebrava la festa di Imbolc il primo giorno di Febbraio.

Il giorno dell’Orso

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L’orso di Bomarzo

In alcune località italiane il giorno della Candelora viene chiamato “Giorno dell’orso”, poiché vuole la tradizione che nella notte tra il primo e il due di febbraio l’orso si svegli dal letargo ed osservi la luna per trarne previsioni di carattere meteorologico.
In Piemonte così recita un proverbio: ‘Se l’orso a la Siriola la paia al fa soà, ant l’invern tornom a antrà”. Cio significa che se nel giorno della Candelora l’animale esce dal suo giaciglio (il che indicherebbe tempo buono e plenilunio) allora si rientrerà nell’inverno. In altre parole se il 2 febbraio il cielo è chiaro e sereno e c’è la luna piena, l’inverno sarà ancora lungo, se invece la Candelora cadrà con la luna nuova (e se il cielo sarà buio e nuvoloso) allora la primavera arriverà presto.
Tutto ciò è comprensibile solo se si pensa che un tempo la cultura contadina osservava il cielo per stabilire i tempi più propizi per la semina, per programmare il lavoro agricolo e per regolarsi se consumare o meno le scorte alimentari.
Un’altra tradizione folklorica, che ha pure a che fare con l’orso e con febbraio, è sopravvissuta in occasione del Carnevale lucano di Teana. L’orso, animale totem considerato “tellurico” per via del suo letargo invernale, rappresenta bene il ritmo stagionale delle antiche tradizioni agresti, tanto da venire usato come simbolo della natura in alcune rappresentazioni carnevalesche.
In certe zone dell’arco alpino, al termine di una caccia all’orso simulata, un uomo travestito da orso viene ancora oggi catturato per essere schernito e bastonato. E’ quanto accade nel piccolo centro di Urbiano, in Val di Susa, dove si simula una caccia all’orso che si conclude con la cattura dell’animale. Naturalmente si tratta di maschere e finzioni, ma pare che un tempo un orso in carne ed ossa venisse condotto di paese in paese da un domatore che lo esibiva facendolo ballare nelle piazze. Purtroppo col passare dei secoli questi splendidi animali sono andati scomparendo per colpa dell’uomo.
Ormai di orsi veri non se ne incontrano più, ma da nord a sud la tradizione folklorica è cambiata di poco: a Putignano in Puglia il 2 febbraio un personaggio mascherato da orso gira ancora per le vie del paese, fermandosi nelle piazze e mettendosi a ballare la tarantella, mentre il pubblico disposto in cerchio batte le mani a tempo e colpisce a sberle il pover’uomo travestito da animale.

Per quanto diverse l’una dall’altra, queste tradizioni folkloriche e carnevalesche hanno qualcosa in comune: l’orso che va in letargo d’ inverno e si risveglia in primavera, simboleggia la forza primitiva della natura e rappresenta il punto mediano della stagione invernale, che segna la sconfitta del freddo e del buio e che annuncia il ritorno della luce e della bella stagione.

Antonella Bazzoli – 2 febbraio 2009 (aggiornato il 27 gennaio 2018)