Spoleto romanica: i rilievi di San Pietro

La chiesa medievale intitolata all’apostolo Pietro s’ incontra a sud di Spoleto, lasciando la via Flaminia e incamminandosi in direzione di Monteluco.
Una scenografica scalinata conduce davanti alla straordinaria facciata romanica di San Pietro, caratterizzata da fantastici rilievi, bestiari e simboli del XII secolo!
Nulla resta invece della costruzione precedente, che sappiamo essere stata realizzata nel V secolo sul luogo di un antico cimitero, ma che in seguito fu demolita per lasciar posto alla nuova chiesa del XII secolo.
Purtroppo l’interno dell’edificio romanico subì un totale rifacimento in forme barocche nel XVII secolo. Solo la facciata di San Pietro si è conservata fino a noi in tutta la sua bellezza originaria! 
Ed è proprio di questa eccezionale decorazione medievale che oggi vi voglio parlare.

Realizzata da abili maestranze sotto la regia di un ignoto architetto, la facciata di San Pietro a Spoleto risulta divisa in numerosi scomparti, costituiti da blocchi calcarei di pietra grigia locale.
Il ricco programma iconografico è inserito in un disegno architettonico tipico delle facciate romaniche. L’ effetto visivo nel suo insieme è simile a quello di una grande pagina di un giornale a fumetti: le scene sono infatti regolarmente incorniciate in un disegno architettonico marcato da linee orizzontali e verticali. L’occhio dell’osservatore percepisce un senso di ordine e di regolarità geometrica.
La pagina di pietra è piena di dettagli simbolici e di scene allegoriche scolpite a rilievo, la cui funzione didattica e morale è evidentissima: i rilievi dovevano infatti trasmettere per immagini precisi insegnamenti della dottrina cristiana e inculcare nei fedeli ammaestramenti di tipo morale. Una biblia pauperum insomma, nella cui ricca decorazione a scomparti si alternano motivi vegetali, animali fantastici e reali, simboli terreni e allegorie celesti, che parlano il linguaggio di un sermone religioso.
I contenuti delle scene sono molto interessanti anche perché riflettono la morale e  la cultura di un immaginario collettivo appartenuto all’uomo  medievale, ereditato in parte anche da tradizioni antecedenti a quella cristiana.

Vorrei ora provare ad analizzare alcune singole scene, cominciando da quelle in cui è raffigurato il leone.
Dal 23 luglio al 23 agosto il sole si trova nel domicilio del segno zodiacale del leone, da cui il termine “solleone” divenuto sinonimo di canicola. Re degli animali, come fu definito per la prima volta nel Physiologus (opera redatta ad Alessandria tra il II secolo e il IV secolo d.C.), il leone era anche ritenuto l’animale che simboleggia la  giustizia e il coraggio.
Il nobile felino nel medioevo si rivestì così di un duplice simbolismo solo apparentemente ambivalente e contraddittorio: da un lato infatti il leone rappresenta il Cristo giudice, dall’altro il Cristo redentore e misericordioso.
Due prerogative di Gesù che potrebbero sembrare in contrasto fra loro, ma che in realtà nell’immaginario medievale non lo erano affatto.
Per comprendere meglio il sottile significato della doppia natura cristologica del leone in età medievale, può forse esserci d’aiuto l’iconografia della facciata romanica di San Pietro.

Fin dalla prima volta in cui vidi questi fantastici rilievi, tre scene in particolare colpirono la mia attenzione. Mi riferisco ai tre pannelli posti verticalmente sul lato destro del portale, che si caratterizzano per un aspetto fortemente narrativo.

Cominciando dal pannello superiore, si vede un leone che sembra avere una zampa incastrata in un tronco d’albero.
Di fronte al felino, che appare sofferente e minaccioso (si noti la coda alzata verso l’alto, che indica chiaramente l’ atteggiamento aggressivo e spaventato dell’animale), una figura maschile impugna una scure. Si tratta probabilmente di un coraggioso boscaiolo, in procinto di spaccare in due il tronco, al fine di liberare il povero leone rimasto intrappolato.

Nella scena sottostante la belva non sembra più minacciosa: se ne sta di fronte ad una figura maschile raffigurata inerme, in ginocchio, in atteggiamento supplichevole. Che il leone appaia amichevole nei confronti dell’uomo è confermato dal fatto che la coda, questa volta, si trova tra le zampe posteriori, evidente simbolo di timore e di sottomissione. L’ ipotesi è che l’animale abbia riconosciuto nel personaggio che gli è di fronte, colui che tempo addietro gli aveva liberato la zampa intrappolata nel tronco e che, per gratitudine, non voglia attaccarlo.

Un’ ipotesi che sembra confermata anche dall’ abbigliamento del personaggio chino di fronte al leone, il cui copricapo e la cui veste sono pressoché identici a quelli indossati dal boscaiolo nella scena superiore.

Ma se in questa scena la belva non appare feroce e non attacca l’uomo, riconoscendo in lui un amico, nella scena inferiore le cose vanno diversamente .

Qui il leone mostra tutta la sua aggressività. La coda è rivolta verso l’alto e con gli artigli tiene ferma la testa dell’uomo che ha aggredito, nell’atto di divorarla. La spada sguainata che la vittima ancora impugna nella mano destra, sembra voler indicare che l’uomo a terra ha cercato invano di lottare prima di essere sopraffatto. Dagli abiti che indossa sembrerebbe trattarsi di un soldato, o forse di un cacciatore, non certo dell’ uomo umile e generoso raffigurato nelle scene superiori.

l’anima di un dannato viene afferrata dal diavolo per poi gettarla all’inferno

Per comprendere meglio il significato simbolico dei rilievi di San Pietro (che già lo studioso Joan Esch provò a decodificare in un suo lavoro di molti anni fa), possiamo fare riferimento anche ai bestiari medievali che vedevano protagonisti gli animali con funzione fortemente allegorica.
Tutto il linguaggio iconografico del medioevo ha indubbiamente dei riferimenti nella bibbia, così come nelle fonti tardoantiche, nelle favole di Esopo e nei cosiddetti bestiari medievali.
Bestiari in cui il leone viene descritto come un animale che non farebbe del male a un uomo indifeso, né assalirebbe un uomo disarmato, ma che sarebbe pronto ad aggredire senza pietà il cacciatore che si mettesse sulle sue tracce.

A proposito di bestiari medievali mi sembra interessante riportare una frase allegorica tratta dal cosiddetto “bestiario d’amore”, in cui il leone viene identificato con l’Amore che è pronto ad assalire soltanto chi lo guarda negli occhi: “Amore cattura l’uomo ai primi incontri per mezzo degli occhi, e per questa via l’uomo perde il cervello”.

Come sostiene lo studioso Franco Cardini in un suo interessante lavoro iconografico, tutto ciò che può essere definito zoologia immaginaria del medioevo – e che trae la propria fonte dalla Bibbia, da Fedro, dalle leggende orientali penetrate in Europa con le culture delle steppe e con i testi sulla spedizione di Alessandro in India – unitamente alle visioni individuali e collettive e ai simboli astrologici, non è affatto un insieme disordinato di fantasie ma piuttosto “un linguaggio con la sua grammatica, la sua sintassi, il suo svolgimento etimologico, la sua avventura semantica”.

Un linguaggio molto simile a quello raccontato dai rilievi romanici di San Pietro a Spoleto.
In alto, tra le scene dalla vita del santo titolare della chiesa, troviamo rappresentata la chiamata dei primi due apostoli: Andrea e Simone. Sempre legate alla figura di Pietro, seguono poi la scena della cerimonia della lavanda dei piedi e quella della lotta tra il bene e il male. Caratterizzato da un gusto fortemente narrativo, questo scomparto ospita un demonio con tanto di corna, coda e zampe di capra, che sta di fronte a un angelo per contendersi l’anima di un moribondo. L’anima del defunto è protagonista anche nel rilievo vicino, dove si nota una bilancia –  inequivocabile simbolo del giudizio – che pendendo a favore dei due diavoli dà loro il diritto di afferrare il dannato per i capelli e di gettarlo poi a testa in giù, attraverso quella che sembrerebbe essere la vera di un pozzo, e che è in ogni caso un simbolico passaggio nel mondo demoniaco degli inferi.

scena di lavoro nei campi

In basso, più precisamente nei due scomparti ai lati del portale, un contadino conduce due buoi. Si tratta in questo caso di uno di quei repertori dei lavori nei campi (ereditati dall’arte antica) che nel basso medioevo entrarono a far parte dei  diffusi cicli calendariali dei lavori dei mesi.
Subito sopra vi è un cervo che addenta un serpente e che allatta il suo piccolo, forse simbolo cristiano del sacramento del battesimo, attraverso cui il cristiano può raggiungere la salvezza.
Cervi che tengono serpenti in bocca e pavoni che beccano acini d’uva sono presenti sulla facciata di San Pietro proprio come nei bestiari greci e latini.
Il messaggio sembra essere un invito ad entrare in chiesa per morire e poi rigenerarsi. E infatti anche nelle due formelle ai lati dell’arco ci sono due aquile, simboli anch’esse della rigenerazione attraverso il battesimo.
Per quanto riguarda lo stile della facciata si notino inoltre le eleganti decorazioni di croci e palmette, girali d’acanto e tralci di vite, cervi, pavoni ed altri volatili, che trovano la propria fonte d’ispirazione in antichissime chiese paleocristiane del territorio, come la vicina San Salvatore e il più distante tempietto del Clitunno  che si trova nei pressi di Campello, sempre lungo la via Flaminia.
Modelli architettonici di una Spoleto altomedievale e longobarda, che devono aver rappresentato un riferimento importante non solo per la chiesa di San Pietro, ma anche per gran parte delle coeve chiese romaniche umbre.

Antonella Bazzoli – 12 novembre 2008

Da leggere:
Joan Esch, “La chiesa di S. Pietro di Spoleto. Le facciate e le sculture” Ed. Leo S.Olschki
Gli articoli di Franco Cardini, originariamente pubblicati sulla rivista Abstracta tra il 1986 ed il 1989, col titolo “Mostri, Belve, Animali nell’immaginario medievale”, sono su Airesis nella sezione Il giardino dei Magi.